“Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni”. Re Prospero, nella “Tempesta” di Shakespeare, lo sostiene per indicare l’inconsistenza delle nostre vite. Ci piace interpretare questa frase in modo diverso: i sogni sono sì evanescenti, ed evaporano al mattino, ma dentro di noi lasciano scorie che ci alimentano. Grazie ai sogni riusciamo a vivere.
La “scintilla” che ci ha spinto a tramutare un sogno in realtà è scoccata una sera d’estate del 2018, durante il Festival del Teatro, tradizionale rassegna che la Compagnia Teatro Paravento organizza nel periodo che precede il Locarno Festival. Quella sera assistevamo alla messa in scena di un’originalissima versione del “Romeo e Giulietta” (“Romeo e Giulietta – l’amore è saltimbanco”)- Sul palco allestito nel giardino del Paravento c’era lo Stivalaccio Teatro, una compagnia vicentina di teatro popolare, commedia dell’arte, teatro per ragazzi e arte di strada. Quel “Romeo e Giulietta” era una versione arguta, divertente, assieme antica e moderna della più grande storia d’amore di tutti i tempi. Veniva narrata dal punto di vista di Girolamo Salimbeni e Giulio Pasquati, due sopravvissuti all’inquisizione chiamati a mettere in scena la celebre pièce di Shakespeare per Enrico III, futuro Re di Francia; per farlo, i due scritturavano la prostituta Veronica Franco, “honorata cortigiana” della Repubblica, che per loro sarebbe diventata una Giulietta improvvisata e bislacca, eppure ammaliante e sensibile, di straordinario talento espressivo.
In quel frangente, quella sera, osservando la rappresentazione che i tre giovani attori portavano in scena, abbiamo realizzato che chiunque, e in qualunque modo, è legittimato a portare sul palco il grande drammaturgo inglese. L’unica condizione è che abbia la coerenza di farlo onestamente, entro i propri limiti, e che nel farlo provi e regali gioia. La grandezza di Shakespeare sta probabilmente nel fatto che il suo è un “teatro della vita” di tutti e per tutti, indipendentemente da anagrafe, formazione e aspirazioni di scena. Ecco quindi che è partita la nostra “caccia” a realtà teatrali diverse fra loro, ma unite da quella strana voglia di “fare Shakespeare”.
Così con grande naturalezza, grazie alla collaborazione di compagnie e singoli protagonisti, il progetto ha preso forma e in corso d’opera ha cambiato pelle: da documentario incentrato sulla “permeabilità” di Shakespeare è diventato – grazie alle specificità dei nostri protagonisti – un viaggio alla scoperta del teatro (nello specifico shakespeariano) quale strumento di integrazione.
Hanno aderito al progetto, ognuna con “pezzo” diverso della produzione shakespeariana (o strettamente legato ad essa), tre compagnie:
• La Compagnia Teatro Paravento di Locarno, che ha presentato una divertente conferenza-spettacolo incentrata sui “folli” nell’opera di Shakespeare (“Di matti, di William e altre divagazioni – conferenza-spettacolo sul buffone nell’opera di Shakespeare”)
• La Bottega del Teatro dell’Associazione Giullari di Gulliver, con sede ad Arzo, che ha messo in scena una sua particolarissima rivisitazione del McBeth
• e un gruppo giovanile formato da ragazzi adolescenti, coordinato dalla regista Katya Troise (Associazione Scintille Teatro e spazio creativo) di Locarno, che ha presentato il “Sogno di una notte di mezza estate”.
La Compagnia Teatro Paravento, con sede al Teatro Paravento di Locarno, è nata 37 anni fa grazie all’iniziativa di un gruppo di ex allievi della Scuola Teatro Dimitri di Verscio. Negli ultimi anni ha una base stabile di 2 persone: il direttore artistico Miguel Àngel Cienfuegos (che fu fra i fondatori) e Luisa Ferroni. A loro, nella messa in scena di produzioni proprie, si aggiungono attori esterni. Con grande versatilità, la Compagnia Teatro Paravento ha spaziato dalla Commedia dell’arte ad altre forme di drammaturgia, facendosi riconoscere in maniera particolare per l’impronta sociale delle sue produzioni. È recente il completamento della “trilogia della lontananza”: tre produzioni incentrate sul tema dello sradicamento, delle migrazioni, dell’appartenenza o meno ad un territorio.
La Bottega del Teatro è una realtà giovane che nasce da una costola dell’Associazione Giullari di Gulliver. Registi e coordinatori sono Prisca Mornaghini e Antonello Cecchinato. Per questa produzione La Bottega del Teatro si compone di una ventina di giovani attori dai 14 ai 30 anni, alcuni dei quali “reduci” dalle attività teatrali-sociali svolte durante le colonie estive “Lazzi di Luzzo”. Particolarità interessante della Bottega del Teatro è quella di poter annoverare, grazie ad una collaborazione instaurata con Soccorso operaio svizzero, alcuni richiedenti l’asilo di provenienza eritrea, afgana e somala.
L’Associazione Scintille: teatro e spazio creativo è un’associazione culturale, educativa e artistica, che ha quale scopo principale la promozione e il sostegno dell’attività teatrale in tutte le sue espressioni. Nasce a Locarno nel 1995, fortemente voluta, fondata e diretta da Katya Troise, attrice, regista e pedagoga teatrale. Il gruppo di adolescenti, condotto dalla stessa Troise, è formato da una dozzina di ragazzi di età compresa tra gli 11 e i 15 anni; si tratta dii ragazzi che amano il teatro e lo praticano come attività nel tempo libero da un minimo di tre anni; periodo, questo, considerato necessario affinché la frequenza ad un corso di teatro abbia un senso riguardo all’apprendimento delle regole di base per la recitazione, e per far sì che i ragazzi possano legare e sentirsi protetti all’interno del gruppo di coetanei e liberi di esprimere la propria creatività e i propri vissuti. Il gruppo presenterà il lavoro di Shakespeare come saggio di fine corso a giugno. “Il saggio – dice Katya Troise – è un momento molto importante di incontro con il pubblico, anche se non necessariemente il momento più importante del percorso teatrale dei ragazzi: nel “tragitto-laboratorio” avvengono infatti i veri piccoli momenti magici di crescita e scoperta del teatro”.
Seid Ali, 18 anni, eritreo (La Bottega del Teatro)
Seid è nato ad Asmara, in Eritrea, dove fino a 14 anni ha vissuto con la mamma Randa e la sorella maggiore Eleni. Il papà Ali non l’ha mai veramente conosciuto: era il governatore e il presidente amministrativo della regione di Asseb ed è stato imprigionato per motivi politici quando Seid aveva 2 anni.
Da allora, Seid e la sua famiglia hanno dovuto badare a se stessi da soli e sono stati continuamente vessati dalle autorità locali in merito a presunti debiti contratti dal padre. Anche per questo motivo Seid, quando aveva 14 anni, ha deciso di lasciare il Paese con meta l’Etiopia. È partito un giorno alla fine del 2014 senza avvisare la famiglia, unendosi ad alcuni conoscenti che andavano in visita da parenti. Al confine con l’Etiopia Seid è stato preso in consegna dai soldati, che l’hanno trasferito nel campo profughi di Abaguna, dove ha incontrato altri eritrei di sua conoscenza. Da lì, è stato portato a Henxaxe, il suo secondo campo profughi. Dopo una permanenza di circa 2 settimane, ha deciso di fuggire ad Addis Abeba. Lì c’è stato il primo contatto con la mamma, alla quale ha detto che era intenzionato a rimanere in città. Ad Addis Abeba ha incontrato alcune famiglie eritree che l’hanno in pratica “adottato”, tenendolo con loro per 1 anno e 2 mesi. Ma anche Addis Abeba doveva essere soltanto una tappa. Infatti Seid ha deciso di raggiungere in bus il Sudan e poi la Libia attraversando il deserto del Sahara assieme ad un nutrito gruppo di migranti provenienti dall’Eritrea e da altri Paesi dell’Africa subsahariana. Il viaggio è durato un paio di mesi ed è stato contraddistinto, racconta, dai patimenti per la sete e la fame, nonché da un rapimento da lui subito nel deserto libico da parte di un gruppo di passatori.
Giunto in Libia, il ragazzo ha vissuto con altri migranti in un magazzino per circa 2 settimane, fino alla fine di aprile del 2016, quando il gruppo ha deciso di prendere il mare a bordo di un barcone con altre 5-600 persone. Dopo l’approdo in Sicilia (ma forse era Lampedusa) Seid è stato registrato e trasferito a Crotone, in Calabria, in un grande campo profughi che ospitava migliaia di migranti. Ci è rimasto per pochi giorni, prima di essere trasferito all’Isola di Capo Rizzuto, sul tacco d’Italia, dove è stato alloggiato in un centro per minorenni non accompagnati. Due mesi dopo, una nuova partenza in solitaria: destinazione Milano, in bus, e da Milano verso Como, prima di raggiungere il confine di Chiasso, dove è stato fermato dalle Guardie di confine e portato al Centro di registrazione. Il giorno seguente, con in mano un biglietto e una mappa per orientarsi, Seid è stato messo su un treno per Basilea. Arrivato là, vi è rimasto per 4-5 mesi svolgendo anche alcuni lavori di pubblica utilità. Infine, il ritorno in Ticino, dove è rimasto per un mese al centro della Protezione civile di Lumino ed è poi stato portato al Centro per minorenni non accompagnati della Croce Rossa a Castione, dove vive tuttora.
Un capitolo importante della vita svizzera di Seid l’ha ricoperato la Croce Rossa Svizzera, che da quando è arrivato l’ha “cresciuto”, sostenuto e accudito con il supporto di una équipe educativa. Il tutto, durante un periodo di 3 anni. Seid è considerato oggi dai vertici di Croce Rossa un “modello” per capacità di integrazione.
Nel frattempo, prima la sorella e poi la mamma hanno raggiunto Addis Abeba. Con loro Seid ha frequenti contatti telefonici. La loro intenzione è quella di raggiungerlo in Svizzera, anche se Seid sa che sarà molto difficile.
Il ragazzo, che oggi è in possesso di un permesso F di ammissione provvisoria, è stato inserito in un progetto pilota promosso dalla Segreteria di Stato della migrazione. Il progetto prevede di istituire in 4 anni 150 posti di apprendistato nei settori della logistica, dell’agricoltura, della meccanica di produzione, della ristorazione e del settore ausiliario ospedaliero.
Ha frequentato il pretirocinio di integrazione in logistica e lavorato per 4 mesi – fino a fine dicembre 2018 – al Tavolino Magico di Cadenazzo unitamente ad altri 39 rifugiati, di cui 9 eritrei dai 16 ai 27 anni. Il Tavolino Magico accoglie una cinquantina di persone provenienti da programmi occupazionali o in Assistenza. Si occupa della raccolta di generi alimentari altrimenti destinati al macero, che vengono poi ridistribuiti a oltre 1’800 persone indigenti della Svizzera italiana.
A gennaio 2019 ha iniziato un periodo di stage al Centro di distribuzione Coop di Castione, dove alcuni mesi prima si era presentato spontaneamente per iniziare a lavorare. Era stato rifiutato perché la burocrazia ha le sue regole e Seid ancora non aveva né il permesso F, né la licenza di scuola media. Ottenuto il primo e conseguito la seconda, ha potuto coronare il suo sogno di iniziare lo stage. Poi è stato assunto e ha già iniziato l’apprendistato triennale di impiegato in logistica.
Miguel Àngel Cienfuegos (Compagnia Teatro Paravento di Locarno)
Giunto in Svizzera da giovane, durante la dittatura di Pinochet in Cile, si è formato alla Scuola Teatro Dimitri di Verscio. Vive a Locarno Monti con Luisa Ferroni, dalla quale ha avuto due figli: Francesco e Simone. Miguel e Luisa gestiscono le attività e organizzano il cartellone del Teatro Paravento di Locarno e, assieme, costitituiscono il “nocciolo duro” della Compagnia Teatro Paravento di Locarno, che per le sue produzioni si avvale della collaborazione di attori esterni.
Per il documentario, Miguel e Luisa hanno appunto messo in scena una conferenza-spettacolo incentrata sui “folli”, o buffoni, nell’opera di Shakespeare”. Lo stesso Shakespeare diceva di considerarsi un “giullare”, vista l’eloquenza e la chiarezza non comuni nell’esporre concetti e tratteggiare i sentimenti dei suoi personaggi. Miguel ha ripreso l’idea da uno studio sulla figura del buffone nella storia del teatro, realizzato diversi anni fa dal grande regista francese Serge Martin, fondatore dell’omonima scuola di teatro di Ginevra. Negli anni 70 Martin incontrò Cienfuegos ad Arles quando questi recitava nella pièce “Sa Majesté”…
La figura del buffone, o “folle” – e quello shakespeariano è assolutamente paradigmatico della storia del teatro moderno – è strettamente attinente alla vita professionale di Cienfuegos, che in 40 anni di carriera teatrale si è spesso ritagliato ruoli buffoneschi, a partire da quelli che sono propri della Commedia dell’Arte (genere da sempre molto caro alla Compagnia Teatro Paravento). Una rassegna sui giullari di Shakespeare equivale quindi per Miguel ad un viaggio interiore dal passato al presente di autore e attore teatrale; un percorso durante il quale, proprio grazie all’arte teatrale, Miguel ha sperimentato la “sfrontatezza” nel poter dire, sul palco, ciò che nella vita reale spesso non può venir detto. “Il ‘folle del Re’ è l’unico che si permette – e al quale viene permesso – di esporre con lucidità giudizi trancianti che equivalgono spesso a verità inconfessabili (se non da lui). È colui che rivelando difetti e menzogne funge da coscienza del Sovrano”, dice Cienfuegos. Sostanzialmente il giullare e il folle sono i “meno matti” di tutti perché i soli in grado di inquadrare ed esporre la realtà, senza compromessi.
È prodiga di figure buffonesche anche l’infanzia cilena di Miguel, che ricorda ad esempio il “Triguito” (il Granello), un anziano mendicante che per i ragazzi, all’epoca, era il giullare, il “matto buono” del villaggio in cui il papà di Miguel fungeva da capostazione. “Il Triguito mi raccontava le storie della buonanotte tenendomi in braccio, vicino al braciere – ricorda Miguel -. Spesso ci addormentavamo entrambi. Una volta che il sonno ci colse, ruzzolai fra i tizzoni ardenti. Grande fu lo spavento, ma per fortuna ne uscii indenne”.
Ludovico Franscini, 11 anni (Associazione Scintille)
Ludovico frequenta la prima media a Minusio ed è un ragazzino vivace e pieno di idee. Ama le evoluzioni con il trotinette, suonare il pianoforte, andare con lo snowboard, cantare, il ballo hip-hop e quello moderno. Inoltre si diletta con la magia (imparata da autodidatta su Youtube) e naturalmente il teatro, che affronta con spirito sbarazzino ma anche impegnato. È il più giovane del gruppo ma si è ben integrato grazie alla sua simpatia e al suo carattere aperto. Seguirlo, per noi, ha significato salire su un ottovolante di emozioni…